by marco » 21 Jun 2007, 04:54
Intervista a Steve su Genesis Revisited:
STEVE HACKETT: Mentre lavoravo a questo progetto mi sono ritrovato a provare sensazioni molto contraddittorie, in parte mi domandavo a chi sarebbe potuto interessare riascoltare delle canzoni che già erano state registrate venticinque anni addietro, o anche venti anni fa; ma il motivo che mi ha spinto è stato il fatto che ho lavorato tanto tempo per migliorare la mia tecnica e per apprendere molto di più in fatto di incisione, registrazione, insomma il lavoro di studio, e quindi ho intuito che parecchie delle canzoni che erano state apprezzate dal pubblico di quell'epoca venivano ricordate più che altro come il risultato di talune performance live; in effetti i brani che ci hanno resi famosi, quelli che io trovo più eccitanti, erano molto difficili da riprodurre in studio, calcolando la nostra inesperienza in quei giorni, e così, considerando che io sono conosciuto proprio per quei brani, questo rappresenta un tentativo in un certo senso di cambiare il passato ma anche di catturare e riproporre l'eccitazione, lo spirito di quelle canzoni e di quei tempi, qualcosa che in realtà è molto difficile da fare. Tutto è nato proprio da una delusione iniziale di come queste canzoni erano presentate su disco; molti dei nostri fans dicevano che la band dal vivo era grandiosa ma che poi sul disco non ha lo stesso impatto; così con questo disco, scegliendo proprio quei brani per cui io sono ricordato, ho tentato alcuni cambiamenti; e la frustrazione di sentirti conosciuto per qualcosa che pensi poteva essere realizzata in modo migliore, più energico.
CHITARRE: A questo proposito, quanto è stato importante l'aver lavorato per questo progetto, insieme alla Royal Philarmonic Orchestra?
S.H.: Direi molto , agli inizi, era proprio l'aspetto "sinfonico", ho voluto quindi collaborare con una vera orchestra per poter esplorare fino in fondo ogni possibilità di riproporre quel certo tipo di suono.
C.: Mi sembra che hai aggiunto più chitarra acustica rispetto alle versioni originali...
S.H.: In effetti è vero. Si tratta di una chitarra con corde in nylon, uno strumento che io trovo molto adatto quando si tratta di descrivere certe atmosfere in brani che possiedono uno sfondo narrativo; e poi c’è qualcosa in questo strumento che mi piace davvero tanto , lo trovo molto personale, ti dà l'opportunità di tirare fuori delle sonorità uniche.
C.: Mi domandavo se suoni con o senza plettro.
S.H.: No, di questi tempi suono sempre con le dita.
C.: Hai compiuto degli studi classici?
S.H.: No però recentemente frequento molto un chitarrista, con cui ci scambiano continuamente delle idee, Theodore Cheng, a lui piace eseguire dal vivo alcuni miei brani, ed è un grande fan di J.S. Bach.
C.: Per tornare al tuo approccio con la chitarra elettrica, uno dei tuoi assoli più belli era contenuto in "Firth Of Fifth": come ti sei ritrovato a dover eseguire nuovamente quell'assolo?
S.H.: Innanzitutto ho cercato di attenermi ad una linea di tipo orchestrale che non chitarristico, quindi mi sono riallacciato prevalentemente alla melodia originale; c’è poi una sezione in cui ho dato spazio all’istinto e che ho totalmente improvvisato, se ci fai caso c'è una parte del brano in cui sviluppo una interpretazione più "bluesy", rispetto all'altra versione; in realtà ho tentato veramente di fare qualcosa di diverso, con un approccio più immediato, creare una specie di contrasto rispetto all'incisione che tutti conoscono. Mi e sempre piaciuta la blues-music, ma nei Genesis ero un po' "ristretto" e quindi suonavo in un certo modo, oggi l'ho eseguita in un modo più distinto, e per certi versi lievemente dissimile.
C.: Perché hai scelto cosi tanti musicisti per questa incisione? Alcuni di loro a suo tempo, hanno anche fatto parte dei Genesis.
S.H.: In verità ho cercato di scegliere dei musicisti che avessero una certa famigliarità con questo tipo di musica, non ce ne sono così tanti in giro capaci di suonare quelle cose, a meno che non si sia fatto parte di una band di quel periodo, oppure non si sia appassionati di quel genere. Oggi molti musicisti sono bravi nel loro genere, tecnicamente virtuosi, ma provengono da scuole diverse, quindi è difficile che siano realmente a conoscenza di ciò che hanno fatto o significato i Genesis di quell'epoca. Certamente non si può pretendere che tutti i membri della Royal Philarmonic Orchestra sappiano esattamente quello che succedeva, con i Genesis nei primi anni settanta.
C.: E quindi come ti sei comportato quando hai dovuto collaborare con gente tipo John Wetton, Bill Bruford, e via dicendo, che tipo di metodo hai usato?
S.H.: Direi che in generale ho chiesto un pò a tutti nel modo più "pericoloso" possibile e di non preoccuparsi assolutamente della cosiddetta nota giusta. Ciò che io desideravo era proprio quel tipo di rischio, con quell'approccio specifico: ad esempio, sapendo che dovevo lavorare con Tony Levin, non mi sono affatto preoccupato delle note giuste, piuttosto volevo che lui suonasse in quel modo così inventivo, come sa fare lui, ed infatti questo è successo. Mi sono preoccupato non tanto dell'aspetto esecutivo, se volevo esclusivamente le note giuste sarebbe stato facile inserirle nel computer, invece mi premeva I'aspetto creativo, quello che succede sul momento, cosa che non ti può succedere con una "machine". Ho voluto insomma che tutti i musicisti suonassero senza limiti, non mi sono mai posto il problema degli errori.
C.: Perfettamente, mi trovi d'accordo completamente. Uno dei tuoi assoli più veloci sul disco è contenuto in "Fountain Of Salmacis", quanto è stato preparato in precedenza e quanto improvvisato?
S.H.: Quello è un brano che possiede una struttura molto rigida, quindi ho dovuto realmente penare ad ogni singola nota, c’è una parte del brano in cui ho improvvisato, ma ho sempre pensato all’epoca, che in quel brano ci dovesse essere più spazio per la chitarra, per un certo tipo di energia e quindi avendo avuto poi così tanto tempo a disposizione per riflettere ho voluto lavorare su qualcosa di veloce; per essere onesti l’ho dovuto preparare con molta cura.
C.: Che tipo di strumentazione hai usato?
S.H.: La mia Gibson Les Paul, più recentemente sono passato ad una Les Paul Custom con Tremolo-Arm, per gli amplificatori ho optato per varie combinazioni con un Peavey 50, un Roland Cube, un Groove Tube. La mia amplificazione di questi tempi è molto ridotta se la paragoni a ciò che usavo prima.
C.: Nei primi anni 70 al Piper Club di Roma, durante l’esecuzione di "The Musical Box", la tua mano destra volava sul manico della chitarra per anticipare un certo tipo di tapping.
S.H.: Principalmente era un tentativo per emulare determinate linee melodiche proprie delle tastiere, a quel tempo avevo sempre in mente J. S. Bach e mi domandavo perché una chitarra non potesse eseguire certe cose, quindi in un certo senso si trattava di un modo di suonare per ampliare gli orizzonti del manico della chitarra e poter riprodurre dei passaggi e delle diteggiature ben delineate. E così mi sono inventato quella tecnica.
C.: E quella tecnica la usi ancora oggi?
S.H.: Occasionalmente si, è una specie di trucchetto, può facilmente impressionare e farti suonare molto veloce, ma si tratta di una tecnica e nulla più. Io suggerirei alla gente di non essere mai troppo coinvolti nella tecnica in se stessa, ed invece di essere più preoccupati delle emozioni che sai tirare fuori: certo è importante diventare padroni dello strumento e saper amministrare la tecnica, ma è altresì importante ricordare comunque che può diventare molto noioso, suonando, se si mostra solo ed esclusivamente la propria preparazione tecnica. Credo che si debba tentare il grande salto tra l’essere lo studente prima, l’esecutore ed il virtuoso poi, ed infine il compositore. E’ il grande salto consiste nel fatto che il compositore può fare tutte queste cose se soltanto lo vuole ma può scegliere di non mostrare continuamente quel tipo di bravura. Per quanto mi riguarda trovo che sia comunque sempre più importante l’aspetto creativo, l’idea, il pezzo di musica in se stesso.
C.: Leggi la musica a prima vista?
S.H.: Niente affatto. Ho studiato ed ho molte nozioni, però non uso mai delle annotazioni musicali, quando si è trattato di incidere la "Bourèe di Bach" per il mio disco Momentum, ho dovuto imparare le parti molto lentamente, e poi ho subito dimenticato il tutto, colpa della mia memoria troppo corta! In realtà mi interessa più scrivere le parti, anziché leggerle soltanto.
C.: Ci saranno dei progetti live in seguito a questa album?
S.H.: Forse, ma parecchio dipende da come il disco sarà accolto, da come venderà, è tutto un po’ complicato, comunque il mio maggiore interesse in questi giorni è basato sul lavoro di registrazione. Preferisco spendere i mio tempo incidendo, adesso sto lavorando ad un nuovo progetto per Nylon Guitar & Orchestra.
Mauro Salvatori, 1997