Retrospettiva 1975-1999

Sezione riservata al celebre chitarrista del complesso nei suoi anni piu' gloriosi, ed in seguito impegnato in una carriera solista che prosegue tutt'oggi.

Retrospettiva 1975-1999

Postby marcoleodori » 21 Mar 2009, 06:04

Questa retrospettiva sulla carriera di Steve Hackett la scrissi diversi anni fa per Wonderous Stories (http://www.wonderoustories.it/), la fanzine di progressive che ho avuto il piacere e l'onore di fondare. Si ferma al 1999... Se qualcuno vuole completare l'opera parlando degli album pubblicati in seguito, forniremo una piccola guida a chi si accosta a questo incredibile artista. Questo è quello che pubblicai ai tempi:


La prima uscita come solista di Steve Hackett risale all’Ottobre del 1975, quando viene pubblicato “Voyage Of The Acolyte”, brillante album d’esordio in cui il chitarrista dei Genesis viene affiancato dai compagni Mike Rutherford e Phil Collins, dal fratello John al flauto, da Sally Oldfield sorella del più conosciuto Mike al canto, da Percy Jones (Brand X) e John Gustafson (Quatermass) al basso, John Acock alle tastiere, Robin Miller all’oboe e al corno inglese (già sessionman con i King Crimson di “Lizard”). I brani più risciti sono sicuramente “Ace of Wands”, vero pezzo di bravura di Hackett, ben coadiuvato dalla sezione ritmica, le sognanti “Hands Of The Priestess Part I & II” e la soave “The Lovers” in cui Sally Oldfield interpreta degnamente un brano di grande impatto. Il disco viene accolto in modo benevolo dalla stampa e mostra ad Hackett la via da seguire, quella via che di lì a poco si troverà ad intraprendere. Passano infatti solo due anni ed il chitarrista abbandona i Genesis. Mentre la band sta missando il celebre doppio dal vivo “Seconds Out”, Hackett comunica la sua intenzione di proseguire la sua carriera solistica ed uscire definitivamente di scena. Il motivo scatenante sembra essere legato al rifiuto, da parte dei compagni, ad utilizzarere suoi brani fra quelli da inserire negli album della band. E’ comunque da sottolineare che proprio in “Wind & Wuthering” Steve Hackett aveva potuto inserire molte sue composizioni, cosa che non si era verificata precedentemente. Chiuso il discorso con Banks & soci, SH si dedica alla propria carriera e non perde tempo pubblicando “Please Don’t Touch” (Aprile 1978), lavoro in cui si avvale del supporto, solo per citare i più noti, di Chester Thompson (con i Genesis dal vivo) e Phil Ehart (Kansas) alla batteria, di “Richie Havens, Steve Walsh (Kansas) e Randy Crawford alla voce, oltre al solito fratello John (flauto) e John Acock (tastiere). E’ forse meno forte il legame con la band che ha da dato ad Hackett il successo, non mancano poi episodi inusuali per il chitarrista, che affida due sue splendide composizioni ai sopracitati Richie Havens (“How Can I?”) e Randy Crawford”(“Hoping Love Will Last”). Altri brani da ricordare sono la potente title-track, la dolce “Narnia” con delicati arpeggi di chitarra e “Kim”, splendida composizione per chitarra e flauto, dedicata alla compagna di Steve. Da sottolineare, inoltre, la non indifferente prova di Steve Walsh e Phil Ehart dei Kansas, formazione americana di spicco a quei tempi. La necessità di portare in concerto il proprio repertorio fa sì che venga creata una Steve Hackett Band, che accompagnerà l’ex Genesis nei primi tour a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Diversi strumentisti della band verranno poi coinvolti nelle registrazioni di “Spectral Morning”, terzo album solistico che viene pubblicato a poco più di un anno dal precedente. Il nuovo lavoro è forse più omogeneo, contiene brani che esprimono in modo più coerente la personalità artistica di Hackett, manca probabilmente il brano ‘forte’, ma il discorso si fa unitario e non mancano comunque composizioni di notevole presa come “Every Day” e “Spectral Mornings” o l’eterea “Lost Time in Cordoba”. Sono al fianco di SH il fedele fratello, il tastierista Nick Magnus, il bassista Dick Cadbury, il batterista John Shearer ed il cantante Pete Hicks, strumentisti che, come già accennato, prendono parte ai suoi primi tour. Poco più di un anno ed esce il quarto episodio di una saga destinata a durare nel tempo. “Defector” (Giugno 1980) è il titolo della nuova pubblicazione. I musicisti coinvolti sono gli stessi ed il disco mostra notevoli punti di contatto con il precedente. I brani più significativi, che verranno poi proposti in concerto, sono “The Steppes”, in cui la chitarra ed il flauto disegnano armonie di grande effetto, l’andante “Time to Get Out”, la solare “Jacuzzi” con splendide evoluzioni dei fratelli Hackett e “Hammer in the Sand”, gioiello strumentale in cui il piano di Nick Magnus crea un tessuto sonoro commovente. Stupiscono poi "The Show" , brano dalla ritmica dance e “Sentimental Institution”, scritta a quattro mani con Pete Hicks, divertente omaggio alla musica del passato. Il tour che segue porta Hackett nuovamente in Italia (era dal tour di “The Lamb Lies Down on Broadway” che non si esibiva da noi). Esperienza che poi ripeterà l’anno successivo. Ad Agosto del 1981 esce “Cured”, album che segna un cambiamento di rotta da parte di Hackett. Non c’è più una sezione ritmica, le parti di basso sono realizzate dallo stesso Steve, mentre la batteria è sostituita dalla drum-machine. Con SH troviamo ancora Nick Magnus, John Hackett ed il sassofonista Bimbo Acock. Tutte le parti cantate vengono realizzate da Hackett, ed è tangibile il disagio che il musicista prova nell’improvvisarsi ‘front-man’. “Cured” non è comunque un album da buttare via, anche se l’approccio è diverso ed il linguaggio sembra essere volutamente più immediato e di facile comprensione. L’atmosfera è generalmente più distesa ed allegra come nell’iniziale “Hope I Don’t Wake” o in “Funny Feeling”. Curiosamente Hackett si avvicina alla forma canzone proprio nel momento in cui anche i Genesis con “Abacab” percorrono nuovi sentieri. Forse una sezione ritmica ed un cantante di ruolo avrebbero fatto di “Cured” un album di livello superiore. Il brano di spicco è certamente “The Air-Conditioned Nightmare”, strumentale che reca impresso il marchio di fabbrica di Hackett, ripreso in seguito in concerto. Nel 1982, più precisamente il 2 Ottobre, Steve si riunisce ai suoi ex compagni nell’ormai leggendario concerto di Milton Keynes. Suona solo nei bis finali (“I Know What I Like” e “The Knife”), pur avendo dato la sua totale disponibilità. Il concerto, ricordato poi in seguito con il brano per chitarra classica “Time Lapse at Milton Keynes” presente sul primo singolo dell’album successivo, viene effettuato per evitare a Peter Gabriel il collasso finanziario derivato dalla scarsa affluenza di pubblico al primo festival Womad. Il 28 Gennaio dell’anno successivo Peter Gabriel e Mike Rutherford si uniranno alla Steve Hackett Band. Il concerto immortalato sul celebre bootleg “All Together” si svolge alla Civic Hall di Guilford ed i brani eseguiti sono “Here Comes The Flood”, “Solsbury Hill” e “Reach Out (I’ll Be There). Due mesi dopo è disponibile il nuovo lavoro “Highly Strung” (Marzo 1981), che segna il ritorno a schemi collaudati. Tutti i brani sono firmati da Hackett che in due occasioni divide gli oneri e gli onori con il fedele Nick Magnus. Per coloro che amano perdersi tra i ‘credits’ segnaliamo la presenza di Ian Mosley (già con i Trace) alla batteria, in seguito drummer dei Marillion, del violoncellista Nigel Warren-Green e del contrabbassista Chris Lawrence. La svolta di “Cured” viene lasciata alle spalle ed il suono torna quello caratteristico, presente nei primi lavori. L’unica cosa che non convince e ancora una volta lascia perplessi è che le parti cantate siano appannaggio di Hackett, che ricorre spesso ad un fastidioso falsetto per ovviare alle nota carenza di estensione. E’ singolare come in quegli stessi anni anche Mike Rutherford (“Acting Very Strange” – Agosto 1982) e Tony Banks (“The Fugitive” – Giugno 1983) commettano lo stesso errore di Hackett volendo cimentarsi, con pessimi esiti, come cantanti. Il sesto album solista di SH contiene anche “Cell 151”, brano che verrà pubblicato su singolo ed extended version suscitando un discreto interesse. Altri brani di rilievo sono la corale “Give it Away”, la lenta e affascinante “India Rubber Man” e la conclusiva e movimentata “Hackett to Pieces” scritta dalla coppia Hackett/Magnus con la ripresa del tema contenuto in “Camino Royale”. Solo pochi mesi separano “Higly Strung” da “Bay of Kings” (Novembre 1983), album suonato e registrato interamente con la chitarra classica, in cui a supportare Steve ci sono solo John Hackett e Nick Magnus. Dodici brani, tra i quali spiccano le nuove versioni di “Kim” da “Please Don’t Touch” e Horizons” da “Foxtrot” dei Genesis, di rara bellezza. Il disco viene pubblicato a fatica, su etichetta Lamborghini, perché nessuno sembra essere interessato a questo autentico gioiello più vicino alla musica classica che al ‘pop’. In seguito verrà ristampato dalla Baillemont in Francia e poi dallo stesso Hackett, che includerà nella sua edizione (per la Kudos) ben tre bonus tracks (Time Lapse at Milton Keynes”, “Tales of the Riverbank” e “Skye Boat Song” . E’ difficile scegliere un brano tra quelli pubblicati, sono tutti incredibilmente ispirati, la musica di Hackett si fa, se possibile, ancor più evocativa. A quasi un anno dalla parentesi acustica si torna alla dimensione elettrica con “Till We Have Faces” (Ottobre 1984), album che svela un lato inedito di SH. Registrato per buona parte presso i Som Livre Studios di Rio de Janeiro, vede la partecipazione di musicisti locali che rendono quanto mai particolare il risultato finale. Gli unici musicisti che costituiscono un legame con il passato sono il tastierista Nick Magnus ed il batterista Ian Mosley. Ma le sorprese non finiscono qui, il terzo brano “Let Me Count the Ways” (dedicato allo zio Charlie – Ray Charles ndr) è un blues in piena regola, vecchio amore di Hackett sconosciuto ai più, che in seguito lo spingerà a realizzare un intero album dedicato a questo genere. Va evidenziato che Hackett si avvicina a culture diverse, strada che già dal 1980 era stata intrapresa da Peter Gabriel. “Till We Have Faces” risulta, al pari di “Cured”, uno degli episodi meno riusciti nella discografia di Hackett. Stupisce il desiderio di cambiare, di evolversi e di sperimentare, ma il tentativo non può considerarsi riuscito e a farne le spese è la musica. Nessun brano è da considerarsi al di sopra degli altri, forse la sola “A Doll That’s Made In Japan” è superiore (viene anche pubblicata in singolo ed extended playing). La ristampa della Camino (etichetta di Steve Hackett e Billy Budis suo manager) del 1994 contiene le bonus tracks “The Gulf” e “Stadiums of the Damned”, inserite in una tracklist completamente stravolta, non aggiungono nulla a livello di contenuti, pur essendo nell’insieme gradevoli. Gli anni successivi vedono l’ascesa ed il tramonto di un progetto ambizioso che porterà su uno stesso palco i due Steve più amati nel mondo del progressive: Hackett ed Howe. I Genesis e gli Yes, due mondi così vicini si incontrano per la prima volta sotto un’unica bandiera quella dei GTR. I due chitarristi si incontrano ed iniziano un fitto scambio di demo, per poi cercare musicisti con i quali realizzare un disco, che risultano essere Max Bacon voce, Phil Spalding basso e Johnathan Mover batteria. L’album esce nell’Aprile del 1986 e viene accolto molto bene, ma il successo non riesce comunque a tenere uniti i due musicisti, Steve decide così di lasciare la band. Hackett torna sul mercato con “Momentum” (Aprile 1988) un nuovo lavoro per chitarra classica, realizzato in compagnia del fratello John, che contiene 11 nuove composizioni di incredibile bellezza e che ancora una volta evidenziano il suo totale disinteresse per la musica di consumo. Dopo aver scalato le classifiche con i GTR, l’ex Genesis preferisce tuffarsi nuovamente nelle calme acque di una musica non massificata. “Momentum” viene portato in Tour ed i fratelli Hackett si esibiscono anche a Milano e a Roma. Dopo aver tentato di realizzare “Feedback” un nuovo album elettrico (di cui emergeranno testimonianze negli anni successivi e che infine verrà pubblicato ufficialmente) con Bonnie Tyler, Brian May e Chris Thompson, Steve Hackett rimane nell’ombra per ben tre anni, interrompendo il suo isolamento solo per prendere parte al progetto Rock Against Repatriation, per il quale viene registrata una cover di “Sailing” di Rod Stewart , apparendo con il brano inedito “A Life in Movies” sull’antologia “Guitar Speek III” (1991) e offrendo la sua chitarra a Gandalf per la realizzazione di “Gallery Of Dreams” (1992) a Julian Colbeck per “Back To Bach” (1992) e Mae McKenna per “Mirage & Reality”. Per veder pubblicato un nuovo album del chitarrista bisogna attendere Gennaio del 1994. Viene infatti realizzato un live antologico “Time Lapse", contenente brani registrati in due concerti a distanza di ben dieci anni a New York (probabilmente si tratta della data del 31/10/81) con Chas Cronk (Strawbs), Nick Magnus e Ian Mosley, e a Nottingham il 2 Settembre del 1981 con John Hackett, Ian Ellis, Julian Colbeck e Fudge Smith (Pendragon). L’album è una sorta di Greatest Hits dal vivo, contiene infatti le cose miglioridi SH come “Please Don’t Touch”, “Everyday”, “Jacuzzi”, “Ace of Wands” e “Spectral Mornings”. Non manca un omaggio alla vecchia band, viene infatti inserita anche “In That Quiet Earth”. Nove mesi dopo è la volta di “The Unauthorised Biografy” (Ottobre 1992), altra possibilità di tuffarsi nel passato del chitarrista. L’antologia è resa notevolmente interessante dalla presenza dei due inediti “”Don’t Fall Away From Me”, scritta in coppia con Brian May dei Queen, e “Prayers and Dream” del solo Hackett. Bisogna attendere quasi un anno per “Guitar Noir” (Maggio 1993) che finalmente è un lavoro contenente materiale interamente inedito. La lunga pausa ha permesso all’artista di crescere notevolmente. Una maturità artistica che è tangibile a livello di composizione ma anche, e soprattutto, nelle parti vocali, realizzate finalmente senza ricorrere più di tanto al fastidioso falsetto del passato, ma utilizzando, in modo efficace la propria estensione vocale. Anche le sonorità sono più fresche ed i contenuti sono attuali pur conservando gli ovvii legami con un passato impossibile da dimenticare. Il CD viene realizzato con una vera e propria band che seguirà Steve nella successiva tournée. “Guitar Noir” contiene diversi gioielli come “Take These Pearls, “Dark as the Grave”, “There Are Many Sides to the Night”, “Walking Away From Rainbows” e “Sierra Quemada”. La versione americana contiene un brano in più rispetto a quella europea. Si tratta di “Cassandra” in cui sono presenti anche Brian May alla chitarra e Chris Thompson ai cori. A Luglio dello stesso anno Hackett torna in Italia per un tour di 5 date accompagnato da Julian Colbeck (tastiere e voce), Hugo Degenhardt (batteria, percussioni e voce) e Doug Sinclair (basso e voce). Nel Novembre del 1994 SH torna in Italia per un tour acustico di sette date, in compagnia del solo Julian Colbeck. In quello stesso periodo viene pubblicato “Blues With a Feeling”, un sorprendente album di blues, contenente cover e brani inediti scritti per l’occasione da Hackett e dai suoi collaboratori. Un lavoro insolito, di cui il chitarrista è orgoglioso, ma che spiazza completamente i fan. L’estate successiva vede la pubblicazione di “There Are Many Sides to the Night”, album live ricavato dal tour acustico della fine del ’95. La data inserita è quella del 01/12/94 al Teatro Metropolitan di Palermo. La scaletta propone i momenti migliori dello Steve Hackett acustico, sono presenti brani tratti dai due capolavori “Bay of Kings” e “Momentum”, come pure inediti (“How I Love You” presente in versione cantata nell’inedito “Feedback” , “Beja Floor”, “Bacchus”, “Concerto in D” e “End of the Day”) ed un sentito omaggio ad Ennio Morricone con “Cinema Paradiso”. Da segnalare, inoltre, una splendida versione ‘unplugged’ di “Ace of Wands”. E’ uno Steve Hackett pienamente ritrovato quello che affronta gli ultimi anni del millennio. Si comincia a parlare di un cofanetto contenente materiale raro e live dei vecchi Genesis, quelli dell’era Gabriel. Hackett viene contattato per registrare nuovamente le parti di chitarra, la forte suggestione provocata dal riascolto dei capolavori del passato lo spinge a confrontarsi nuovamente con il suo passato illustre. Realizza così “Genesis Revisited”, pubblicato nell’estate del 1996 inizialmente solo in Giappone. Il solo elenco dei partecipanti a questo album la dice lunga sullo spessore della rivisitazione; ad accompagnare SH in questo viaggio alla riscoperta delle proprie origini troviamo John Wetton, Bill Bruford, Tony Levin, Chester Thompson, Paul Carrack, Colin Blunstone, Alphonso Johnson, Pino Palladino, Julian Colbeck, Aron Friedman, Hugo Degenhardt, Doug Sinclair, Nick Magnus, Will Bates e la Royal Philarmonic Orchestra. Il CD contiene i rifacimenti, talvolta personalizzati, di “Watcher Of The Skies”, “Your Own Special Way”, “Dance On A Volcano”, “For Absent Friends”, “Fountain of Salmacis”, “I Know What I Like” e “Firth of Fifth” oltre ad una “Waiting Room Only” ispirata alla quasi omonima traccia presente su “The Lamb Lies Down on Broadway”. Vengono inseriti anche le inedite “Valley of the Kings”, “Déja Vu” (scritta in coppia con Gabriel ai tempi di “Selling England by the Pound”) ed una nuova versione di “Depth Charge” intitolata per l’occasione “Riding the Colossus”. La versione europea del CD contiene una nuova versione di “Los Endos” in cui si aggiunge l’ennesimo nome illustre al già nutrito cast; è presente anche l’ex King Crimson Ian Mc Donald. L’evento “Genesis Revisited” fa sì che in tutta fretta venga allestita una band di tutto rispetto, con la quale effettuare un breve tour promozionale in Giappone. Hackett riesce a portare con sé John Wetton (voce e basso), Ian Mc Donald (flauto, sax, tastiere e cori), Julian Colbeck (tastiere e cori) e Chester Thompson (batteria). Le date sono quattro e la scaletta del concerto comprende brani dei Genesis, dei King Crimson, degli Asia, di Steve Hackett e di John Wetton. Ma la vena creativa di Steve è un fiume in piena, non ammette soste ed il nuovo capitolo, una nuova sterzata verso il mondo della musica classica, è “A Midsummer Night’s Dream”, lavoro ispirato alla celebre opera di William Shakespeare, pubblicato nei primi mesi del 1997. Diciotto brani in parte inediti, in parte rivisitati e con un nuovo titolo, realizzati da Hackett e dal fratello John, presente in tre tracce, con la Royal Philarmonic Orchestra. E’ presente anche Roger King all’organo, musicista che in seguito si troverà a collaborare nuovamente con il chitarrista. Un grande album che completa il discorso intrapreso con i lavori acustici degli anni ’80; lo sfizio di affidare le proprie composizioni ad una grande orchestra in cui non può passare inosservato un grande amore per Ennio Morricone . Da segnalare, su tutte, le splendide “In Beached Margent Of The Sea” e “Mountains Turned into Clouds”. Poco più di un anno e viene distribuito “The Tokyo Tapes”, doppio CD che rende testimonianza dei concerti del Dicembre ’96. Le registrazioni originali sono state ampiamente ripulite e corrette ed il prodotto finale è assai diverso da quanto suonato in concerto. E’ comunque un peccato veniale che può essere tranquillamente perdonato, in quanto commesso più o meno da tutti quelli che hanno pubblicato un album live. La versione europea del CD contiene due bonus track inedite: “Firewall” e “The Dealer”, risalenti con ogni probabilità alle session di “Guitar Noir”, mentre in Giappone viene aggiunta la versione da studio di “Los Endos” assente sulla prima stampa di “Genesis Revisited”. La nuova raccolta di composizioni inedite viene pubblicata nel 1999 a fine Aprile. “Darktown”, questo è il titolo dell’album, è un CD che ancora una volta introduce innovazioni e mostra una incredibile voglia di sperimentare; particolare non indifferente per un artista in circolazione da quasi trent’anni. Alcune soluzioni sono forse un po’ estreme e apparentemente lontane dallo stile di Hackett, ma va segnalata, ancora una volta, la grande voglia di SH di provare qualcosa di nuovo.
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Postby fr.arcuri » 21 Mar 2009, 07:23

per me che sto scoprendo il maestro questo è uno scritto preziosissimo.

per quel poco che conosco, e quel pochissimo che ho assimilato, c'è una sola frase che mi lascia interdetto:

"Diversi strumentisti della band verranno poi coinvolti nelle registrazioni di “Spectral Morning”, terzo album solistico che viene pubblicato a poco più di un anno dal precedente. Il nuovo lavoro è forse più omogeneo, contiene brani che esprimono in modo più coerente la personalità artistica di Hackett, manca probabilmente il brano ‘forte’ ...

ecco, io sono convinto che il brano forte c'è anche lì.

per il resto sono tutti preziosi consigli da approfondire [:)]
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Postby Thomas Eiselberg » 21 Mar 2009, 08:26

Molto bella Marco[:)]

Umilmente inserisco il resto dei dischi dal 1999 ad oggi.[I8)]

Nel 2000 Hackett pubblica assieme al fratello un omaggio al compositore Erik Satie: "Sketches of Satie".
Il lavoro come al solito è interessante e suonato con la solita essenzialità e perizia, anche se alla lunga risulta un po' scolastico.

Negli anni successivi escono raccolte che ripescano brani di Steve scritti in precedenza ("Feedback '86" e "Genesis Files").
Da segnalare anche Live archive: un cofanetto celebrativo che in 4 Cd ripercorre la storia concertistica del chitarrista.

Per il nuovo album "rock" bisognerà attendere il 2003, anno di uscita di "To Watch the storms".
Dopo tanti anni Steve ha a disposizione una band fissa di supporto (Roger King alle tastiere, Gary O'Toole alla batteria, Terry Gregory al basso e Rob Townsend al sax e flauto) ed i risultati si vedono: i brani riconquistano quell'atmosfera prog dei primi tempi e la voglia di sperimentare che lo aveva caratterizzato nei primi anni della carriera solista.
Il lavoro è piuttosto lungo ed eterogeneo, ma la classe non è acqua, e brani come la crimsoniana "Mechanical Bride", la strana "Circus of Becoming", la dolcissima "Serpentine song" e la "cinematografica" "Wind, Sand and Stars" compensano qualche riempitivo di troppo.
Nel lavoro cominciano a riaffiorare alcune sonorità "alla Genesis" che Steve sembrava aver abbandonato ("Strutton Ground" riecheggia atmosfere vicine ad album come "Wind and Wuthering").
Ancora una volta c'è molta voglia di osare: nelle arie orientali di "The silk road" o nel folk di "Come away" (una Mazurka), o ancora nella jazzata "Frozen statues"

Negli anni successivi Hackett continua a sfornare Dvd, che lo riprendono sul palco sia quando fa sfoggio della sua bravura acustica ("Hungarian Horizons"), sia quando porta sul palco il repertorio rock recente e passato ("Once above a time").

E' del 2005 la nuova opera "classica" di Steve, che coadiuvato dalla Underground Orchestra si propone di narrare in musica il mito di Orfeo.
Il lavoro come al solito è molto curato e godibile, da segnalare "The Dancing Ground", la triste "The Broken Lyre" e soprattutto la lunga ed eterogenea "The vast life".

Negli anni successivi escono altre raccolte live (stavolta acustiche): "Live archive 05", e "Live archive 83", e un nuovo Dvd che immortala l'esibizione al Musikladen nel 1978 ("Spectral mornings").

Nel 2006 è la volta di "Wild Orchids", naturale successore di "To watch The storms", con il quale condivide lo spirito prog, l'eterogeneità, e la riscoperta di atmosfere che sembravano ormai sepolte nel passato (echi di "A trick of the tail" in "A girl called Linda" o di "Entangled" in "Set your compass").
I brani si dividono tra episodi dark e sperimentali ("Down street", "A dark night in toytown", la bellissima "Wolfwork") e composizioni più vicine al prog di una volta ("She Moves In Memories", la floydiana "The fundamentals of brainwashing/Howl").
Da segnalare anche una riuscita cover di Bob Dylan ("Man In The Long Black Coat"), ed il ripescaggio dell'oscura Ego & Id (già ascoltata in "Checking out of London", del fratello John)
Ancora una volta un lavoro magari non originalissimo o "compatto", ma come al solito pieno di quelle piccole perle e finezze alle quali ormai il chitarrista ci ha abituato.

Nel 2008 ancora una volta un lavoro acustico: Tribute, un omaggio a grandi chitarristi classici come Bach, Granados e Barrios, più qualche spruzzatina di composizioni in proprio (The Fountain Suite, Cascada e Sapphires).
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Postby Lidia » 21 Mar 2009, 10:11

grazie Marco Leodori e Thomas Eiselberg..............[^][^][^]
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Postby marcoleodori » 21 Mar 2009, 10:52

Grazie Thomas sapevo che saresti intervenuto per completare l'opera... [:)][:)][;)]...
(era quasi l'assist di Bruno Conti a Pablito Rossi nel 1982...)...

Per fr.arcuri: Chiaramente sono sempre opinioni personali ed in quanto tali possono essere discutibili... [;)]...
Last edited by marcoleodori on 21 Mar 2009, 10:58, edited 1 time in total.
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Postby Thomas Eiselberg » 21 Mar 2009, 11:22

quote:
Originally posted by marcoleodori

Grazie Thomas sapevo che saresti intervenuto per completare l'opera... [:)][:)][;)]...
(era quasi l'assist di Bruno Conti a Pablito Rossi nel 1982...)...



[:D][:)][;)]
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Postby marbian » 21 Mar 2009, 11:42

Eh,eh,eh, testi come questi andrebbero fatti girare nelle scuole... per formare le giovani generazioni... mancano di veri punti di riferimento [;)]
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Postby wondering clouds » 22 Mar 2009, 05:09

grazie per le informazioni così dettagliate.
Interessante...ma voi siete dei fans indiscussi, è lo stralcio di un libro ipotetico e quindi celebrativo o che altro ?
Senza dubbio documentato e utile, sembra che parlate di[O:-)] re mida .
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Postby Dalex_61 » 22 Mar 2009, 06:39

Magnifico! [:)]
Grazie a Marco e a Thomas. [;)]
Io li propongo per il premio Pulitzer... [^]
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Postby Ripples » 22 Mar 2009, 10:36

Complimenti a super Marco ed anche a Thomas.Davvero [^]
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