Come anticipato mesi fa ecco la notizia (3 luglio):
Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo tornano a lavorare insieme dopo un’interruzione durata dieci anni buoni, Shel Shapiro gli scrive i testi in inglese del nuovo album, Franz Di Cioccio sprona, incoraggia e offre sostegno nel ruolo di produttore esecutivo. Fossimo ancora negli anni Settanta, sarebbe visto come un supergruppo da prime pagine dei giornali musicali; oggi invece è un bel consorzio di teste coronate (e ancora capellute, per quanto candide o spruzzate a sale e pepe) che si mette insieme per rinverdire i fasti del mitico “Concerto Grosso” aggiungendo ai due vecchi episodi della saga, datati 1971 e 1976, un nuovo capitolo intitolato alle “sette stagioni”, “The seven seasons”, con tanto di overture, ballate, scherzi, adagi, andanti e allegri briosi. Il grande assente è il produttore Sergio Bardotti, che non c’è più: e a lui, infatti, il progetto è affettuosamente dedicato. “Le finalità sono le stesse di allora”, spiega De Scalzi, produttore artistico responsabile degli arrangiamenti e dell’orchestrazione: “coniugare la formula del Concerto Grosso, propria della musica barocca di metà Seicento, con il progressive rock italiano anni Settanta, sostituendo ai solisti incaricati di interagire con l’orchestra i nostri strumenti elettrici. In questo senso, questo disco è una doppia citazione: di un modello che nella musica classica esiste da sempre e di quello che noi abbiamo fatto in passato. Siamo stati a presentarlo prima in Giappone, in Corea e in Messico: quel pubblico conosceva i due album precedenti e non sapeva nulla di ‘Quella carezza della sera’. Ci siamo resi conto di essere i portabandiera di un certo genere di musica italiana degli anni Settanta. Anche se abbiamo venduto tanti dischi e fatto cose più commerciali sono le opere più complesse e ambiziose a rimanere nel tempo, il ‘Concerto Grosso’ appunto o il ‘Senza orario senza bandiera’ che facemmo con De André. Avevamo delle cose rimaste nel cassetto, il percorso che ci ha portato a completare questo album è stato relativamente facile”. “Ma è stato anche un lavoro lungo, e lento”, precisa il giovane direttore d’orchestra a cui i Trolls si sono affidati nell’occasione, Stefano Cabrera (“l’unico che suona hard rock col violoncello”, lo definisce Di Palo). “Nulla è stato lasciato al caso, nella scelta dei suoni e dei colori strumentali. Discutere e ponderare ogni scelta è stato fondamentale ai fini del risultato”: un disco che suona vintage ma anche, dice De Scalzi, “proiettato nel futuro” e a cui hanno contribuito non poco anche gli altri Trolls versione 2007, il veterano batterista (ex Latte e Miele) Alfio Vitanza, da quasi vent’anni un fedelissimo della band, e poi Andrea Maddalone (chitarra), Mauro Sposito (chitarra) e Francesco Bellia (basso). “Veri musicisti e non giocolieri”, dice Di Palo, dotati anche, come richiede il ruolo, di ottime voci. E Shel Shapiro, che c’entra? “Siamo nati più o meno insieme”, spiega De Scalzi. “Andavamo a vedere suonare i Rokes e cercavamo di imitarli: ci piacevano da matti il loro modo di fare spettacolo, gli strumenti e gli effetti che usavano. Ma eravamo molto diversi: loro, da inglesi, sono sempre stati molto precisi, noi molto più sregolati. Comunque è stato Franz (Di Cioccio) a suggerirci di contattare Shel. I due volumi precedenti del Concerto avevano testi di ispirazione shakespeariana, stavolta volevamo qualcosa di diverso e lui ha scritto cose geniali”. L’interessato (che nell’album recita anche uno dei suoi testi) annuisce sornione: “Quando me l’hanno chiesto, mi sono sentito smuovere qualcosa dentro. Ho sempre considerato i New Trolls un gruppo di livello musicale superiore, ero molto amico di Nico, meno di Vittorio ma lavorando con lui è diventata subito palpabile la nostra stima reciproca. Sono orgoglioso dei versi che ho scritto: in qualche modo rappresentano le nostre vite, si parla di consapevolezza, di conoscenza. E loro li hanno cantati come sempre da dio”.
Dal vivo, dicono, ci sarà da divertirsi, e i Trolls ora che sono tornati in attività non hanno intenzione di risparmiarsi. In Italia, dove si sono rimessi in moto il 1° luglio partendo da San Bartolomeo al Mare, gireranno addirittura con tre show differenti: alternando concerti da tre ore buone dedicati ai loro evergreen a esibizioni con l’orchestra di 16 elementi diretta da Cabrera per presentare la “Trilogia live” del Concerto Grosso (già fissata una data il 5 agosto in Piazza dell’Unità d’Italia a Trieste, con l’Orchestra Barocca di Pordenone); per i teatri più piccoli l’apporto degli archi si ridurrà poi a un quartetto. “In Corea”, spiega De Scalzi, abbiamo presentato il Concerto Grosso suonando per tre ore e mezza: ci sono altri pezzi del repertorio come ‘Miniera’ che si adattano bene all’arrangiamento orchestrale. I bis li cambiamo di volta in volta, a seconda dell’umore del momento. Com’è andata? Beh, laggiù è stato un mezzo disastro, meno male che il pubblico ci ha premiati lo stesso: è successo che come primo violino s’è infiltrato un fan che non era all’altezza della situazione. Dopo l’esibizione voleva fare harakiri, si è fatto perdonare procurandoci a sue spese una violinista bravissima”. In Italia negli anni c’è stata un po’ di confusione, intorno al nome New Trolls… “Quel che posso suggerire”, dice De Scalzi, “è di diffidare delle imitazioni. I membri originali erano quattro, Gianni Belleno, Giorgio D’Adamo, Nico e io, che siamo sempre stati le voci soliste e gli autori delle canzoni. Noi ci siamo rimessi insieme anche per ridare dignità a questo marchio”. E se qualcuno li tacciasse di fare gerontorock? “Guardate”, dice Di Palo nascosto dietro un paio di occhialini scuri. “Io ho avuto un terribile incidente d’auto (ne racconta in un libro autobiografico di prossima uscita, ndr) e quando mi sono risvegliato dal coma ho sentito in giro solo un gran piattume. C’è tecnica, nei giovani musicisti, ma manca la voglia, la grinta, la motivazione. E’ per questo che siamo tornati”.