Ecco la mia recensione del concerto del 30 Marzo a Legnano.
Si parte un po' tentennando con "Everyday", i suoni non sono ancora regolati in modo adeguato e basso e batteria sono molto indietro (almeno così appare dalla fila della platea in cui mi trovo) lasciando il brano carente di spina dorsale. Peccato.
Terminata questa Everyday senza infamia e senza lode parte "El Niño" un brano molto percussivo tratto dall'ultimo album che ho trovato emozionante e vigoroso. Se i nuovi brani fossero tutti tutti carichi di tale energìa ci sarebbe da gridare al miracolo.
Arriva poi il classico "The steppes", brano che ho sempre apprezzato tantissimo che viene eseguito con perizia.
Con i suoi riferimenti al Bolero di Ravel (da cui The Steppes addirittura "clona" un paio di brevi passaggi) e la meravigliosa sottigliezza con cui le melodie di chitarra e flauto (o chitarra e sax soprano nel caso del live) si intrecciano il pezzo non manca di emozionarmi ogni volta. Un capolavoro compositivo, sebbene aiutato dal fatto di aver preso ispirazione da un grande della musica quale fu Ravel. Lo stesso Keith Emerson fece un'operazione simile con "Abadon's Bolero" dall'album Trilogy.
Ma a mio avviso "The steppes" è di molto superiore all'omaggio raveliano del compianto Keith.
Arriva poi un nuovo brano "In the skeleton gallery" che nella versione live mi ha dato l'impressione di un pastiche un po' vuoto. Molti stop and go (a mio avviso) un po' forzati. Ogni tanto il pezzo prende una direzione quasi circense e parodistica ma resto freddo. Live non mi è piaciuto. Però poi l'ho riascoltato in seguito da youtube e l'ho trovato divertente e abbastanza piacevole. Forse deve solo essere assimilato con qualche ascolto in più.
Segue "Behind the smoke", un altro nuovo brano, che Steve introduce spiegando che è dedicato ai rifugiati di tutto il mondo. La stessa famiglia Hackett è di origine polacca e (se ho capito bene) Steve ci racconta che i suoi trisnonni trovarono rifugio in Inghilterra ai primi del '900. Questa canzone mi convince più della precedente, anche se non mi esalta. Il relativo video disponibile su youtube ci mostra un Hackett che (insolitamente?) affronta temi sociali finora riferibili più a Gabriel che agli altri ex Genesis.
Segue "Serpentine song" un pezzo cui Steve sembra essere molto affezionato in quanto dedicato a suo padre. Musicalmente però o trovo piuttosto piatto e non mi ha mai fatto impazzire nemmeno nei suoi tour precedenti.
Fortunatamente arriva "Rise again" tratto da Darktown e qua la musica cambia
. Un brano dinamico con un inizio suadente e d'atmosfera che circa a metà esplode in una bella galoppata intrecciata ad interessanti effetti elettronici. Bellissimo.
Infine a conclusione della parte dello show dedicata alla sua produzione solista, arriva la splendida "Shadow of the Hierophant". Una conferma, con il suo emozionante crescendo dove il batterista Gary O'Toole ha modo di dare ampio sfoggio di velocità (nonostante giacca e cravatta ... ma come fa un batterista rock a suonare in giacca e cravatta?
Mah ...).
E poi è il momento della parte di show dedicata ai Genesis e Nad Sylvan fa il suo ingresso sul palco.
Con Sylvan non ci sono mezze misure o lo si ama o lo si odia. Io che in genere non odio nessuno non arrivo a tanto, ma la sua voce e la sua interpretazione non mi piacciono. Vero che confrontare le sue interpretazioni con quelle dei Collins e Gabriel di 30-40 anni fa non è equo nei suoi confronti, ma quando si tratta di gusti (musicali o alimentari) i giudizi sono del tutto personali e istintivi.
Si parte con "Eleventh earl of mar" bel brano variegato e dinamico. Sono così abituato a sentirlo con la voce brillante di Collins che faccio un po' fatica a seguire il cantato più nasale di Sylvian che si perde un po' in mezzo a organo e chitarra.
L'esecuzione mi è parsa leggermente "imbrigliata" con il potenziale esplosivo del brano non al 100%.
Stessa impressione ho per "One for the vine" che segue: una certa sensazione di "imbrigliamento" che finisce col depotenziare un po' il tutto.
Dopo la fine di "One for .." Steve passa alla chitarra classica e ci presenta "Horizons". Il brano è sempre bello, ma avendolo già sentito innumerevoli volte (oltre ad averlo strimpellato con dubbi risultati molte volte sulla mia chitarra acustica) potevo anche farne a meno.
A seguire l'ormai usuale e magica "Blood on the rooftops", ben cantata dal batterista. Avrei preferito bordate di mellotron più decise durante il ritornello ma il risultato è comunque soddisfacente.
Beggs indossa la chitarra doppio manico (basso più 12 corde) e introdotta da una lunga rullata di O'Toole parte la cavalcata in 3/4 di "..In that quiet earth" che il gruppo interpreta con adeguata grinta. La movimentata parte strumentale sfocia nel largo finale di "Afterglow" dove un mio amico mi comunica di temere il peggio per quanto riguarda la parte cantata da Sylvan. I suoi dubbi per fortuna si rivelano infondati e Sylvian riesce a uscire vivo dal difficile paragone con le struggenti interpretazioni del pezzo fornite da Collins immortalate in innumerevoli registrazioni live.
Si è appena spenta l'eco nostalgica di Afterglow che parte uno dei due brani killer della serata:
"Dance on a volcano". La resa del pezzo è fantastica, con tutti i tasselli al loro posto e un'energìa che sembra provenire da un ... vulcano. Davvero incredibile, quasi meglio degli stessi Genesis che a quanto mi risulta non hanno mai suonato la coda iperveloce del pezzo in concerto, cosa che invece Steve e la sua band eseguono con grande grinta. Pazzesco. Ho visto in passato molti altri show di Steve, ma un gruppo coeso e grintoso come questo non mi era mai accaduto di sentirlo. O forse sì, ma occorre andare indietro al lontano tour di Defector - anno 1980 al Palasport di Torino - dove l'allora batterista della band John Shearer mi colpì per la grande energìa, ma all'epoca Steve non suonava brani dei Genesis nei suoi show.
Dopo l'audiorgasmo di Volcano viene "Inside and out" brano che ho sempre molto apprezzato e che avrebbe dovuto finire su Wind and W. La prima parte del pezzo scorre piacevolmente malinconica tra arpeggi di 12 corde e pianoforte - con il testo che racconta di una persona accusata ingiustamente di violenza sessuale che finisce in carcere e una volta uscita si trova a dover affrontare i pregiudizi della gente. Il tutto sfocia in una coda strumentale vivace e a tratti quasi rabbiosa. L'esecuzione è perfetta e trasmette bene l'ampio spettro emotivo del brano. Bravi.
Ora è il momento di "Firth of fifth" e vista la grinta che ha contraddistinto gli ultimi due brani le aspettative sono altissime. E in effetti il brano viene suonato bene ... se non fosse che a partire dall'inizio della parte strumentale che in crescendo conduce alla melodia suonata dal synth il beat risulta troppo lento - forse anche perchè il pubblico viene invitato a scandire il tempo con il battimani - e ammoscia un po' il pezzo. Sarà che ho in mente la velocità con cui i Genesis eseguivano questa parte strumentale nel medley, ma il tempo più lento mi coglie alla sprovvista e toglie qualcosa al pezzo.
Ma subito dopo arriva l'altro brano killer della serata "The musical box" con un'interpretazione davvero eccezionale da far venire giù il teatro. I Now Now finali di Sylvan (58 anni, è mio coetaneo) non possono ovviamente competere con quelli di un Gabriel ventenne, ma il cuore è al posto giusto e la grinta pure. Un'esecuzione da 10 e lode (eccettuata una minuscola sbavatura di Roger King sul pieno di organo finale, confermata da una registrazione video dello show che ho trovato su youtube), fantastica, grintosa e poetica al tempo stesso.
Dopo il potente closing di Musical Box lo show sarebbe ufficialmente finito e i musicisti salutano ed escono di scena. Ma come regola rientrano dopo qualche minuto per il tradizionale Encore.
Come primo pezzo dell'encore la band esegue "Slogans" un brano che a me piace particolarmente e che mette in mostra le notevoli doti tecniche del gruppo e di Steve con le lunghe parti di arpeggi ostinati eseguiti in tapping. Emozionante.
A chiudere la classica "Los Endos" la quale con mia sorpresa viene parzialmente modificata inserendo frammenti di "Hackett to bits" (ah se solo ci fosse stato un secondo batterista cosa avrebbe potuto essere) salvo poi tornare sui binari del pezzo originale.
Uno dei migliori - forse il migliore- show di Steve che abbia mai visto; I musicisti tutti bravissimi con una menzione particolare per Beggs e Rob Townshend che devono dividersi tra basso, chitarre a sei e dodici corde, pedaliere, sax, flauto, ecc.. ecc..
Anche il light show era di ottimo livello.
Tolti l'enigmatico King, un quasi alter ego di Banks in quanto ad espressività
e lo statuario Sylvan che sembrava tenersi ai margini , i musicisti e lo stesso Steve mi sono sembrati molto divertiti e concentrati al tempo stesso.
Felicissimo di esserci stato