McCartney - Chaos and the creation in the backyard
Posted: 29 Oct 2005, 07:14
Non cambia mai. Anzi, passano gli anni e lui, come il vino, migliora. L’ultimo album di sir Paul McCartney, dal chilometrico titolo Chaos and the Creation in the backyard, non tradisce le aspettative. Disco intimista, più cupo rispetto allo standard abituale dei suoi lavori, dove spiccano l’energia di Fine Line, l’ingegnosa English Tea (una sontuosa rilettura della beatlesiana For no one), l’indeterminatezza di Riding the vanity fair. Gran bel colpo per il “Macca”, il cui impatto si potrà apprezzare con più oggettività fra qualche tempo. Ma la valutazione sarà solo per decidere se si tratti di un capolavoro o di qualcosa appena inferiore.
Calibrato e maniacale in linea con l’attenzione ai dettagli tipica dell’autore, le musiche prendono per mano l’ascoltatore con le sue profonde note di piano e le scampanellanti chitarre a dodici corde, trasportandolo nella leggera Jenny Wren (déjà-vu di Blackbird?) e risvegliandolo nelle ossessive quinte diminuite di At the mercy, canzone dove s’annida il verso più agghiacciante dell’album e forse di tutta la produzione di McCartney: at the mercy of a busy road, we can watch the universe explode.
Con la sua proverbiale ma in fondo simpatica megalomania, l’ex Beatle suona personalmente il 90 per cento degli strumenti. Ottima la produzione di Nigel Godrich, già “inventore” dei Radiohead, che conferisce ai solchi quelle sfumature a tinte autunnali così insolite per le corde del buon vecchio Paul. A loro modo, almeno la metà dei brani sono “sperimentali”.
Se ai tempi di Sergeant Pepper, dedicando una canzone all’amato padre Jim, McCartney si domandava se qualcuno si sarebbe ancora preoccupato di lui quando avrebbe avuto 64 anni, ora non ci sono dubbi: è lui che a 63 anni si prodiga ancora per i suoi fan costruendo cose come quest’album nel quale, senza troppo indulgere negli scherzi di stile che l’hanno reso famoso, apre il cortile segreto e custodito della propria umanità.
Calibrato e maniacale in linea con l’attenzione ai dettagli tipica dell’autore, le musiche prendono per mano l’ascoltatore con le sue profonde note di piano e le scampanellanti chitarre a dodici corde, trasportandolo nella leggera Jenny Wren (déjà-vu di Blackbird?) e risvegliandolo nelle ossessive quinte diminuite di At the mercy, canzone dove s’annida il verso più agghiacciante dell’album e forse di tutta la produzione di McCartney: at the mercy of a busy road, we can watch the universe explode.
Con la sua proverbiale ma in fondo simpatica megalomania, l’ex Beatle suona personalmente il 90 per cento degli strumenti. Ottima la produzione di Nigel Godrich, già “inventore” dei Radiohead, che conferisce ai solchi quelle sfumature a tinte autunnali così insolite per le corde del buon vecchio Paul. A loro modo, almeno la metà dei brani sono “sperimentali”.
Se ai tempi di Sergeant Pepper, dedicando una canzone all’amato padre Jim, McCartney si domandava se qualcuno si sarebbe ancora preoccupato di lui quando avrebbe avuto 64 anni, ora non ci sono dubbi: è lui che a 63 anni si prodiga ancora per i suoi fan costruendo cose come quest’album nel quale, senza troppo indulgere negli scherzi di stile che l’hanno reso famoso, apre il cortile segreto e custodito della propria umanità.