Ascoltato 2/3 volte, devo approfondire. Ecco le prime impressioni.
Non è un Wolflight 2.0 come poteva sembrare (visti i soli 2 anni di distanza). Certo "Behind the smoke" è misto tra "Loch Lomond" e "Wolflight" appunto. ormai Steve ad ogni album inserisce questi tipi di pezzi in apertura. Però rispetto a Wolflight questo "The night siren" è un album più omogeneo, non ci sono pezzi brevi alternati ad altri di 8/9 minuti, è tutto molto più levigato: i pezzi che potrebbero sembrare delle lunghe cavalcate prog non si spingono mai troppo in là, i pezzi pop non sono mai dei semplici bozzetti ma hanno più o meno la stessa durata di quelli più ambiziosi e sono costruiti meglio di quelli di Wolflight. Si potrebbe dire che è un album più pop, a tratti mi ha ricordato Squackett pur essendo comuqnue un lavoro molto più prog e comunque simile Wolflight.
Mi è piaciuto l'uso dei cori mi è piaciuto il fatto che la batteria sia più presente (quando c'è impreziosisce certi pezzi in maniera eccellente). Non mi è piaciuto (per ora) il fatto che in alcuni pezzi Steve sembra inserire degli assoli "a casaccio", nel senso che in pezzi pop e molto orecchiabili ad un certo punto partono sti assoloni velocissimi che sembrano non avere molto in comune col mood dei brani, ma è probabilmente solo un'impressione.
Vediamo brano per brano
Behind the smoke. Come detto è la Loch Lomond dell'album, le sonorità ormai sono quelle classiche: "riffaccio" insistente per tutto il brano, stavolta molto più esotico, andamento epico e orchestrale. Atmosfere oscure e misteriose. Non arriva ai 7 minuti ma è comunque uno dei pezzi di punta dell'album, uno dei più prog, quasi prog metal. Niente affatto originale ma sempre d'effetto.
C'è pure il video
https://youtu.be/IkjNNClccOIMartian seaPezzo poppeggiante e "psichedelico"
. Questo sitar e queste tastiere creano un'atmosfera alla anni '60, pure il cantato simil Yes si accoda, soprattutto nel ritornello. Ad un certo punto, verso la metà, parte la batteria di Nick D'Virgilio e comincia una parte strumentale ancora più psichedelica e rarefatta, che porta il brano a sfumare. Devo dire che ancora non mi è totalmente entrato nel cuore, al momento lo trovo piacevole e poco più.
Fifty miles form the north poleL'inizio sembra mantenere un impronta pop: basso pulsante e cantato che fanno tantissimo anni '80 (sembra un pezzo dei Church
), davvero una cosa stranissima da sentire in un album recente di Steve, molto belli i cori. Ma dopo questo inizio il brano muta in un qualcosa di molto più prog (è il pezzo che dura di più dell'album, l'unico che raggiunge i 7 minuti): colpi di batteria e parte uno dei riffoni alla Steve, stavolta accompagnato da cori femminili molto "oscuri", Insomma quella che era una composizione pop si trasforma in una molto potente con Steve che regala degli assoli precisi e taglienti. Pezzo molto particolare insomma, con questa doppia faccia che ne fa forse la composizione più varia del disco. Forse una delle cose migliori di The night siren
El ninoStrumentale "alla Steve" che ha la sua ossatura portante nelle percussioni e nella chitarra elettrica. Molto molto epico e d'atmosfera (sembra di essere davvero al centro di una bufera). Il nostro sembra davvero in forma, ci regala assoli ancora una volta veloci e taglienti. Nella seconda parte si fanno più presenti le tastiere e il brano diventa ancora più "epico" se possibile. Non un capolavoro ma sicuramente uno strumentale d'effetto.
Other side of the wallDopo le atmosfere "pesanti" dei due pezzi precedenti, ecco che arriva una canzone pop "pura": anticipata da un piccolo preludio di Hackett alla chitarra classica è una di quelle canzoni sognanti e dolci che si possono trovare nei primi album di Steve (The virgin and the gypsy). La voce è sempre in primo piano, la musica fa da accompagnamento. Zero virtuosismi, zero tecnicismi, solo la voce di Hackett a fare da asse portante al tutto. molto molto piacevole.
Anything but loveSonorità spagnoleggianti
, poi parte il pezzo vero e proprio e siamo ancora di più dalle parti degli anni '80 (c'è un qualcosa di Don't fear the reaper dei Blue Oyster cult
). Molto presenti i cori femminili che rendono ancora più orecchiabile il tutto. C'è un assolo di armonica a bocca ma soprattutto nella seconda parte Hackett infila una serie di assoli di chitarra "pesanti" e insistiti che portano il brano su binari più affini ai suoi. Chiusura pirotecnica ancora con l'armonica e la batteria in primo piano. Molto molto particolare: piacevole per gran parte della sua durata eppure per ora sembra esserci qualcosa che non la rende al 100% perfetta.
Inca TerraIntroduzione delicata e sognante, ottimo l'uso dei cori (c'è pure una parte che sembra presa dagli Yes
). Ricorda un po' l'inizio di Sleepers, qui però le sonorità sono molto più da world music e conferiscono al pezzo sapori molto molto particolari. Nella seconda parte si fa più movimentata ma resta gradevolissima, mi piace la batteria e un po' tutto in generale. Sicuramente per come è costruita è una delle canzoni migliori dell'album, si stampa subito in testa eppure nn è affatto banale, anzi.
In another lifel'introduzione mi ricorda un po' Dance of Death degli Iron Maiden (proprio come successione di note). E' ncora una volta pop, prevalentemente acustica, ancora una volta con un uso molto efficace dei cori. Dopo circa la metà però parte la batteria e Steve si accoda con i suoi classici fraseggi chitarristici, stavolta però rispetto a Anything but love molto più azzeccati ed efficaci (pure goduria a dire la verità
). Finale molto molto d'atmosfera affidata ai fiati che creano sonorità magiche e raffinate. Un pezzo che sembra molto meno di quello che in realtà è: semplice e quasi pop ma pieno di sapori e di piccole chicche che lo rendono ancora una volta gradevolissimo e decisamente riuscito.
In the skeleton galleryCosì' come Behind the smoke l'avevo già ascoltata su Spotify. Ricorda per certi versi proprio quest'ultima ma in questo caso l'andamento è più cadenzato: siamo sempre dalle parti del prog. La seconda parte mi ricorda Down Street ed è molto più rock, con un riff molto insistente sul quale sia Hackett che i fiati hanno modo di disegnare assoli. Le sonorità sono forse tra le meno originali di tutto il disco ma il tutto resta piacevole. Sappiamo insomma già dall'inizio dove Steve andrà a parare ma non ci sono cadute di stile (l'uso della batteria però non mi convince).
West to eastPezzo ancora una volta gradevolissimo, semplice eppure d'effetto: strofa e ritornello non sono affatto originali ma dipingono scenari sognanti e "di speranza". Molto più presenti rispetto agli altri pezzi le tastiere che fungono da collante a tutto il brano, le chitarre sono sullo sfondo e si limitano ad abbellire il tutto. Difficile da descrivere perchè appunto ha il suo meglio nella gradevolezza sonora
The giftNeppure 3 minuti di pura magia strumentale, non aggiungo altro: l'esempio perfetto di come si possa costruire qualcosa di magico in così poco tempo e con così poche note. Ottimo modo per chiudere il disco.
In definitiva un album meno complesso ed ambizioso ( a livello strumentale) di Wolflight probabilmente, ma qui non ci sono canzoni pop brevi e di poco conto, tutto è ben amalgamato, nulla sembra davvero superfluo e buttato lì. Se Wolflight per struttura mi ricordava Out of the tunnel's mouth questo mi sembra più affine a Beyond The Shrouded Horizon: pezzi più brevi e apparentemente meno complessi ma pieni di tante sfumature e piccole perle sonore che ascolto dopo ascolto colpiscono ed entrano nel cuore. Non c'è il capolavorone (Love song to a vampyre) ma non non ho notato nemmeno cose supreflue.
Non so se sia meglio di Wolflight, non mi pronuncio per ora, devo ascoltarlo ancora tante volte, ma ancora una volta Steve non mi ha deluso